Riccardo Mataloni
Riccardo Mataloni, di Giuseppe, classe 1890, 8° artiglieria da campagna
Video-intervista realizzata il 14 maggio 1991
Nel suo reggimento c’erano molti umbri? Come erano i rapporti tra commilitoni?
C’erano alcuni umbri, poi siciliano, romani, sardi. I sardi erano tremendi. Non avevano paura del nemico, gli andavano sotto, invece i romani e noi umbri gli giravamo un po’ attorno. Il Colonnello era cattivo, il Capitano era di Frosinone e era un uomo un po’ meglio. Ma il Colonnello era cattivo, a noi soldati non parlava mai.
Ha avuto modo di conoscere gli Arditi?
Ah voglia a vue… se c’era un posto pericoloso andavano avanti loro prima. Erano pericolosi. Una volta si presenta un ufficiale al nostro reggimento per reclutare i soldati che volevano andare con gli arditi, se ne presentò uno solo in tutto il reggimento, uno solo. Erano pericolosi. Quelli stavano meglio, avevano il doppio rancio e poi stavano meglio perché stavano sempre addietro al sicuro, venivano avanti solo quando c’era l’attacco.
Una volta c’era un boschetto e ci sparavo da lì, c’era una specie di casa in quel boschetto, ci sparavano contro e non si sapeva bene da dove sparavano. Arrivarono gli arditi per andare nel boschetto a scovare questi che ci sparavano. Sti arditi erano tutti armati da fa paura, con le bombe a mano, il coltello tra i denti. Quelli che sparavano dal boschetto erano una quindicina e gli arditi tutti e quindici li hanno ammazzati ma de loro ne so tornati addietro la metà e tutti feriti.
Come si stava nel tratto di fronte dove stavate voi?
C’era sempre la neve.
Quando è finita la guerra, come si comportava la gente, vi acclamava?
Quanno semo arrivati nei paesi verso Trento erano contenti che parlavamo italiano ma dopo tre paesi dopo Trento non c’era più una bandiera. Io dico, è segno brutto. Davanti a noi c’era un battaglione di bersaglieri e ne ammazzarono 4 quelli del posto. La sera se volevamo sortì ci facevano sortì ma al paese se sentivano sempre le schioppettate e io non ce so mai andato, me la so scampata fino adesso mi dicevo non voglio morì proprio alla fine quanno è finita.
C’era un paese vicino a Bolzano, chiamato Merano, e lì i borghesi te sparavano.
Venivano le donne stesse che dicevano “voi italiani quando partite?”, e noi si rispondeva che gli italiani non partono più perché vinto la guerra e adesso qui è Italia. E loro ci dicevano “allora noi siamo pronte a fare la rivoluzione”. La sera tutte le donne in piazza che gridavano erano. Allora c’erano dei cannoncini che il Capitano fece piazzare sulle collinette e fece sparare due colpi e quelle sparirono dentro le case.
Quando è finita la guerra, ci credevate, pensavate che era la solita chiacchiera?
A noi ci avvertì il Colonnello, ci trovavamo in riposo, venne col cavallo bianco, quel giorno era buono che non pareva più quello. Chiamò il Capitano, e gli disse: “sig. capitano, avverta i nostri soldati che siamo arrivati al tempo della pace”. Poi si avanza mano a mano. Sul lago di Garda non c’era una casa sana.
Che ricordi ha degli assalti?
Ne ricordo uno molto brutto, ne rimanemmo in pochi, la metà morti, era un monte tutto scogli. Gli austriaci ti falciavano con la mitraglia. Gli austriaci l’hanno persa per la fame perché quelli la sapevano fa la guerra, non se passava. Quando abbiamo sfondato i prigionieri austriaci si attaccavano anche alle bucce delle patate, erano mezzi morti de fame.
Le canzoni che cantavate ve le ricordate?
No. Poco. Noi cantavamo poco, erano i romani che cantavano spesso.
Quando siete tornato a Gualdo Tadino vi hanno festeggiato?
No. Niente. Chiedevano e volevano sapè, ma basta.