Il milite ignoto

 

Il Milite Ignoto

 L'esigenza di avere, quale punto di riferimento per tutte le generazioni future, un simbolo di virtù e gloria, era particolarmente sentito al termine della Prima Guerra Mondiale. Si arrivò così al 20 agosto 1921, data nella quale il ministro della guerra, on. Gasparotto, emanò le prime disposizioni per la pianificazione ed organizzazione delle "solenni onoranze alla salma senza nome di un soldato caduto in combattimento alla fronte italiana nella guerra italo-austriaca 1915-1918".
Il ministro dispose la costituzione di una commissione, presieduta dal ten. gen. Paolini (ispettore per le onoranze alle salme dei caduti) e della quale dovevano far parte il col. Paladini (capo ufficio dell'ispettorato stesso), un ufficiale superiore medico designato dall'ispettore e quattro ex combattenti (un ufficiale, un sottufficiale, un caporale e un soldato) designati dal sindaco di Udine. Circa l'esumazione della salma, le disposizioni prescrivevano che le ricerche dovessero essere effettuate nei tratti più avanzati dei principali campi di battaglia: Monfalcone, S. Michele, Gorizia, Alto Isonzo, Cadore, Asiago, Pasubio, Tonale, Monte Grappa, Montello, Capo Sile, designando, per ciascuna zona, una salma di esumarsi alla presenza della commissione.
Le salme dovevano essere collocate in bare di legno grezzo, di forma e dimensioni identiche, fatte allestire a Gorizia. Le operazioni dovevano concludersi entro il 27 ottobre e, per la stessa data, dovevano essere fatte giungere alla cattedrale di Aquileia.
La cerimonia era fissata per il successivo giorno 28 e prevedeva, dopo la benedizione di tutte le salme, che la madre di un caduto non riconosciuto avrebbe designato la bara da prescegliere.
Per questo triste compito fu designata una popolana di Trieste, Maria Bergamas, il cui figlio Antonio aveva disertato dall'esercito austriaco per arruolarsi volontario in quello italiano, cadendo in combattimento senza che il suo corpo fosse identificato. Al termine, la cassa con il "Milite Ignoto" doveva essere collocata in una cassa di zinco e quindi racchiusa in una bara speciale fatta allestire dal ministero della guerra ed inviata, per l'occasione, ad  Aquileia.  Quanto alle  salme  dei rimanenti  dieci  soldati  ignoti  veniva disposto che rimanessero fino al  4 novembre nella cattedrale di Aquileia, vegliate da un picchetto d'onore e quindi tumulate, in forma solenne, nel cimitero retrostante la cattedrale stessa.
Per il trasferimento a Roma del feretro, si dispose l'allestimento di un treno con in testa un carro speciale sul quale doveva essere collocato un affusto di cannone, e su questo la bara.
Il sindaco di Udine,  Luigi Spezzotti,  in virtù della  delega  conferitagli dal ministro della guerra, designò quali membri della commissione presieduta dal ten. gen. Paolini, il ten. Tognasso Augusto, mutilato con 36 ferite, il sergente Giuseppe de Carli di Tiezzo di Azzano, medaglia d'oro, il caporal maggiore Giuseppe Sartori di Zuliano, medaglia d'argento e medaglia di bronzo, il soldato Massimiliano Moro di santa Maria di Sclaunicco, medaglia d'argento.
Al termine della riunione, la commissione, attraverso il ponte della Priula, Bassano e percorrendo tutta la Val Sugana, giunse a Trento. Non avendo trovate salme insepolte sui monti circostanti Rovereto, la commissione decise di designare una delle salme dei soldati senza nome già tumulate in un cimitero di guerra trentino. Il lavoro di esumazione fu lungo e delicato. Agli occhi della commissione apparve un fante "in atto di tranquillo e sereno riposo", composto nella sua divisa e con indosso le giberne. Avvolto nel tricolore, i resti del caduto furono deposti entro una delle undici bare e il capo fu poggiato su un cuscino di rami di pino.
Attraverso il Pian delle Fugazze, e le Porte del Pasubio, la commissione raggiunse un grazioso cimitero allestito nelle vicinanze delle preesistenti trincee. Con le stesse modalità venne riesumata una salma che, su richiesta del sindaco di Schio, fu trasportata nella chiesa parrocchiale affinché la cittadinanza potesse tributarle onori. Da Porte del Pasubio a Bassano. Qui le salme furono sistemate nella Casa del Soldato che per la circostanza venne trasformata in camera ardente.
Le ricerche successive furono compiute sulla'Altopiano di Asiago. La ricognizione del campo di battaglia rivelò l'esistenza di una croce seminascosta da una parete di roccia. Per la prima volta la commissione rinvenne i resti di un caduto sfuggiti alle pur capillari ricerche dei funzionari addetti alle onoranze dei caduti. I poveri resti erano completamente vestiti e il corpo avvolto in una mantellina quasi a proteggerlo dal deturpante contatto con la terra. L'uniforme ad una prima osservazione non rivelò segni atti all'identificazione ma, ad un più attento esame, evidenziarono la presenza di una piastrina cucita all'interno della giubba. Il tempo e le intemperie avevano già iniziato l'opera di corrosione del metallo, tuttavia venne inviata ad un laboratorio per accertare se, con taluni processi chimici, fosse possibile decifrarne le scritte.
Un groviglio di filo spinato fece presumere che in origine fosse stata allestita la difesa di un tratto di trincea probabilmente presidiato. In un crepaccio di roccia due cadaveri con a fianco le armi e nelle giberne ancora le cartucce. L'esame dei resti e delle uniformi non rivelò nessun elemento che potesse condurre alla loro identificazione. Alla sorte fu affidato il compito di designare quale delle due dovesse essere traslata ad Aquileia.
Il Grappa fu la successiva tappa. In una valletta fu rinvenuta una croce e la relativa salma non presentò segni di identificazione.
Sul Montello non venne rinvenuta nessuna salma essendo state tutte già recuperate e collocate in un cimitero di guerra. Venne perciò nuovamente affidato alla sorte il compito di designare una fossa tra quelle dei caduti senza nome già tumulati. Fu recuperata una cassa corrosa dal tempo e dalle intemperie. Il cadavere, pietosamente ricomposto nella bara di legno, fu trasportato, unitamente agli altri, a Conegliano. Qui vegliati dalla cittadinanza, trascorsero la notte in un piccolo antico tempio cittadino.
Nel Basso Piave ove fanti e marinai fianco a fianco operarono per la difesa dalle insidie provenienti dal mare, la commissione esumò una salma che raggiunse le altre in attesa nel tempietto di Conegliano.
Successiva meta della commissione: Udine. All'ingresso della città le bare furono collocate su affusti di cannone e, attraverso due ali di popolo, furono sistemate nel tempio della storica torre che, dall'alto del colle da cui si erge, domina tutta la città.
Successiva tappa della commissione fu l'Ampezzano, raggiunto da Tolmezzo attraverso il Passo della Mauria, Pieve di Cadore e Cortina. i campi di battaglia delle Tofane e del Falzarego furono ricogniti inutilmente. Il commissariato onoranze ai caduti aveva già fatto un ottimo lavoro di recupero e sepoltura.. Da un grazioso e pittoresco cimitero di guerra, costruito all'ombra degli abeti, fu esumata una nuova salma che, dopo la benedizione nella parrocchia di Cortina, raggiunse a Udine gli altri commilitoni.
Da Udine a Gorizia. Come anni prima fu ripercorsa dai caduti ignoti la strada che dalle retrovie portava alle località più avanzate del campo di battaglia. Le salme fecero il loro ingresso nella chiesa di Sant'Ignazio e lì ricevettero l'omaggio della popolazione e attesero l'arrivo dei nuovi compagni.
La commissione, risalendo l'Isonzo, raggiunse la cima del Rombon e, dopo lunghe ricerche, dietro una parete di roccia rinvenne una croce senza nome. Rimossa poca terra e pochi sassi, un cranio. si continuò a scavare nella direzione indicata dalla posizione del viso e apparvero subito le ossa disarticolate di un fante ancora rivestito della sua uniforme. nessun elemento lasciò presumere una possibilità di identificazione. Era soltanto un soldato d'Italia. Pietosamente ricomposto, fu portato a Gorizia. Mancavano ancora tre salme per completare l'opera.
Le successive ricerche vennero condotte su quel colle che fu un vero calvario per i fanti: il Monte S. Michele. Alle falde del S. Marco fu rinvenuta una rozza croce di legno senza scritte e sotto di essa riposava sereno un fante che impugnava ancora la sua arma. Nessun indizio per l'identificazione e una nuova bara andò ad aggiungersi alle altre già affidate alla pietà dei goriziani.
Castagnevizza fu la successiva tappa della commissione e proprio a Castagnevizza un palo di legno spezzato e del filo spinato suggerirono l'ipotesi dell'esistenza di resti sepolti sotto zolle di terra smossa perché sottoposta a bombardamento. E mentre il maggiore medico Nicola Fabrizi procedeva alla ricomposizione dei poveri resti, ci si accorse delle diverse dimensione di due arti. Fu scavato ancora e venne alla luce la salma di un altro caduto. La chiesa di Sant'Ignazio accolse la nuova bara alla quale tributò fiori e riconoscenza.
Ultima tappa, il tratto di campo di battaglia da Castagnevizza al mare. Quale punto di riferimento fu preso il corso del Timavo. Le ricerche portarono alla scoperta di una croce di legno quasi completamente distrutta dal tempo e l'ultimo degli eroi senza nome fu traslato a Gorizia.

  

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Associazione Storica Cimeetrincee