Eugenio Bicchielli

 

Eugenio Bicchielli, di Nicola, classe 1900, 87° reggimento fanteria

Dopo il ritorno a casa, coloro che contrassero gravi malattie durante il servizio militare, furono costretti a percorrere la strada dell’incomprensione per vedersi riconosciuto il diritto alla pensione.

Un caso emblematico è quello di Eugenio, al quale, tornato a casa con i polmoni a pezzi, non venne riconosciuta la pensione per dei cavilli burocratici. Allegato alla domanda pensionistica aveva presentato il certificato dell’ospedale di Gualdo Tadino, dove era stato ricoverato d’urgenza appena tornato a casa dall’ospedale militare di Roma. All’ospedale di Roma era giunto per un periodo di convalescenza di un anno. Dopo 4 mesi, invece, ormai in fin di vita, viene congedato e rimandato a casa.

La sorella  Maria  raccontava  che  per raggiungere l’ospedale Calai  da via del Ghetto, dove abitavano, avevano impiegato esattamente due ore, un passo e poi fermi a riprendere fiato, con lei che lo sosteneva.  Eugenio, a dispetto dei medici militari che lo avevano dato per spacciato, non muore, ma rimane invalidato per tutta la vita. I suoi familiari ricordano che una settimana lavorava e la successiva la  passava a letto tossendo in continuazione. Insomma, bene o male la scampa, e fa la sua bella richiesta di pensione
Il certificato dell’ospedale di Gualdo Tadino faceva ridere i grossi papaveri militari:
“Ma era a Spoleto, benedetto figliolo, che doveva ricoverarsi, a Spoleto, non a Gualdo Tadino”.
“Ma io sono di Gualdo, quando sono tornato mi hanno ricoverato a Gualdo”.
“Ma no, a Spoleto doveva ricoverarsi. Ora come possiamo essere sicuri che la malattia non l’ha presa dopo il ritorno a casa? A Spoleto, figliolo, doveva ricoverarsi”.
“Per essere sicuri siete sicuri che l’ho presa sotto le armi, ve lo dice anche l’ospedale di Roma dove mi hanno ricoverato con i polmoni rovinati quando ero ancora in servizio”.
“Ma no figliolo, a Spoleto doveva ricoverarsi”. 
Nessuna pensione per Eugenio.